Approfondimento sulla Partita IVA

In attesa di ulteriori sviluppi sulla partita IVA, e in previsione di un seminario di approfondimento che terremo i primi di dicembre, essendoci pervenute molte richieste di chiarimento, pubblichiamo un primo approfondimento sulla partita IVA estratto da Cantieri del Terzo settore e CSVnet Lombardia.

Ricordiamo che il Forum del Terzo settore ha pubblicato un appello al Governo per il No partita IVA alle associazioni.

L’articolo

Dal 1° gennaio 2025 gli enti di tipo associativo che svolgono attività di prestazione di servizi o cessione di beni nei confronti dei propri associati dovranno aprire la partita Iva: questo tipo di attività, infatti, diventerà rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Quando si parla di enti associativi si fa riferimento agli enti del Terzo settore (Ets), comprese le organizzazioni di volontariato (Odv) e le associazioni di promozione sociale (Aps), alle associazioni “generiche” ex art. 148 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir – dpr 917 del 1986), alle associazioni sportive dilettantistiche (Asd), etc. Le associazioni Onlus sono attualmente escluse da questa novità.

Quali sono le associazioni escluse dall’obbligo?

Sono escluse dall’obbligo di aprire partiva Iva le associazioni che non svolgono alcun tipo di attività commerciale rilevante ai fini Iva. Si tratta di associazioni che hanno solo ed esclusivamente entrate tipicamente istituzionali quali, ad esempio: quote associative, erogazioni liberali (donazioni), contributi pubblici che non abbiano natura di corrispettivo, e che non incassano quindi alcuna somma di denaro derivante dallo svolgimento di attività di natura commerciale nei confronti dei propri associati o di terzi (prestazioni di servizi o cessione di beni). Per tali associazioni non cambia nulla e anche dopo il 1° gennaio 2025 possono continuare ad operare con il solo codice fiscale.

ENTI ASSOCIATIVI E IVA

Il decreto legge n. 146 del 2021, all’art. 5, comma 15-quater, ha modificato l’art. 4 del “Decreto Iva” (dpr n. 633 del 1972), riscrivendone integralmente il testo e prevedendo che le disposizioni contenute fossero integralmente da ricomprendersi nel novero delle prestazioni oggettivamente in Iva, alcune nel regime di esenzione (art.10 dello stesso decreto) mentre altre confluite direttamente nel regime di imponibilità, con un effetto significativo in termini di operatività e ricadute fiscali per gli enti.

In sintesi, nella formulazione normativa precedente le attività di prestazione di servizi che caratterizzano molte tipologie di enti erano escluse dall’ambito di applicazione dell’Iva, considerando l’ente un soggetto estraneo a una “filiera” di produzione e di conseguenza escluso tout court dall’ambito di applicazione dell’Iva.

Con la nuova formulazione, invece, tali attività rientrano a pieno titolo nell’ambito di applicazione dell’Iva e possono classificarsi di volta in volta quali esenti (rilevanti ai fini Iva e dei relativi adempimenti senza però essere gravate dell’imposta in relazione alla particolare natura dell’attività o dell’ente che la realizza) o imponibili (rilevanti ai fini Iva e dei relativi adempimenti e gravati dell’imposta, applicata sulla base della aliquota prevista dalla normativa in relazione all’attività svolta).

Un esempio del cambiamento può essere evidenziato nel confronto tra il “prima” e il “dopo” relativo alla attività di somministrazione di bevande:

  • Prima” della modifica dell’art. 4, l’attività era considerata esclusa (quindi non rilevante ai fini dell’Iva e delle sue applicazioni).
  • Dopo” la modifica, l’attività è considerata rilevante ai fini Iva e soggetta ai relativi adempimenti: potrà essere classificata di volta in volta come imponibile (con applicazione dell’Iva al 10%) nella generalità dei casi o esente (senza applicazione dell’Iva sull’imponibile) solamente qualora sia svolta nei confronti di soggetti “indigenti” e senza che si creino “distorsioni del mercato”.